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Mennea story. Quel 12 settembre 1979, il giorno più bello di Pietro il Grandissimo

Il più grande di tutti. Bello il racconto del memorabile 19″72, sui 200 metri, di Città del Messico, ripreso dalla rivista Atletica del settembre 1979 e riproposto dal sito Fidal. Nella foto il podio dell’oro di Mosca, 1980, l’apoteosi olimpica (foto archivio Fidal)
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Città del Messico, l’altura, il tartan, lo Stadio Olimpico, i primati. Chi è tornato nella capitale messicana a distanza di 11 anni dai Giochi, si è trovato di colpo riproiettato in dietro nel tempo, riproponendo a se stesso e agli altri, discorsi, problemi ed emozioni di allora. Qualcuno tentava di convincersi che non erano pochi gli anni trascorsi, puntato l’indice accusatore sulla città («Non è più quella. Il traffico l’ha fatto impazzire»), o sul pubblico («allora lo stadio era una macchia di colore e di entusiasmo. Oggi è triste visione di scalee vuote»). Ma c’era qualcosa di più. Allora gli atleti erano Beamon, Smith, Evans, Keino, Hemery, Fosbury, Saneyev; oggi, tutto, per noi italiani, sembrava ruotare essenzialmente intorno ad un unico nome, quello di Pietro Mennea.

L’atleta azzurro era stato l’unico dei campioni presenti in gara sulla pista dello «Estadio Olimpico de la Ciudad Universitaria» ad aver capito il senso di un’occasione più unica che rara. Aveva rinunciato a Zurigo, aveva rinunciato a Montreal. Altri (vedi Schmid) pensavano di poter sfruttare tutto, ma sono arrivati con il fiato più grosso di quello che i 2000 metri di Città del Messico dovevano provocare. E quando hanno capito, cercando di tirar fuori le energie residue, hanno dovuto fare i conti anche con il maltempo, puntuale ogni pomeriggio ad ostacolare le gare. Ma la pioggia ha invece risparmiato Pietro Mennea, come se avesse capito che per l’azzurro queste Universiadi erano qualcosa di più che una semplice gara. Mennea non si è tirato indietro e non ha mancato l’occasione. Ha compreso subito, dopo il meeting pre-universitario (19.8 manuale sui 200 e il primato europeo dei 100 strappato a Valery Borzov con 10.01) che tutto coincideva come nelle aspettative. La programmazione dell’allenamento era stata ancora una volta precisa. L’atleta era in forma. L’altitudine ancora una volta rendeva leggeri. Ma – ci si chiedeva – potrà la sua volata pareggiare quella di Tommie Smith? Tutti allora ad essere un po’ scettici, ricordando la splendida immagine di un nero alto ed elegante che correva a braccia alzate, appena sfiorando con i piedi la pista.

Città del Messico 1979. L’arrivo con il tempo record alle Universiadi

Si fremeva aspettando i giorni della verità. Si aveva tempo per ammirare lo statunitense Roberson nei 100 metri e gioire per i progressi di Caravani. Si poteva mettere dentro la «Sacca dei primati» già il record della Miano nei 100 metri, e anche confortare la grande Sara per una nuova e quanto mai sfortunata esibizione. Poi le Universiadi diventavano tutte di Pietro Mennea. L’atleta e Vittori sceglievano la tattica: tirare in tutte e tre le gare, batterie, semifinali e finale. «Aspettare solo l’ultimo turno sarebbe un rischio, con le gambe più pesanti; e poi chissà se la pioggia avrà voglia di essere sempre compiacente?».

10 settembre, batterie dei 200 metri – Mennea deve aspettare prima della sua, otto turni. Ma quando vede che il tempo dà tregua e i buoni risultati che gli altri hanno ottenuto prima di lui, non esita. Parte deciso. E’ una grande volata e Borzov (20.00 a Monaco, nel 1972) è subito cancellato con 19.96. L’entusiasmo cresce. Ci si rende conto che Smith è più vicino di quanto poteva sembrare.

11 settembre, semifinali dei 200 metri – L’aria è strana, come elettrica, ogni gesto è pesante. «Qui in altitudine – dice Vittori – un momento non vale l’altro». Mennea stavolta cerca troppo il tempo e la sua corsa pare più contratta dallo sforzo. Il cronometro sul grande tabellone dello stadio gli assegna un 20.04 che fa nascere una smorfia sul volto dell’atleta. Ci si accorge di disprezzare ciò che per tutti sarebbe oro lucente. Anche Vittori è pessimista: «Domani l’atleta avrà sulle gambe le due gare. Sarà dura. Vedremo».

12 settembre, finale dei 200 metri – Sono le 15.15 quando Mennea si piazza in quarta corsia; in seconda c’è il polacco Dunecki, mentre l’inglese di colore Bennett è in ottava. C’è vento, ma sembra che spiri contrario al rettilineo d’arrivo. (Dopo la gara l’anemometro offrirà un 1,8 metri a favore che poco convincerà Vittori). Allo sparo dello starter Mennea pare un proiettile che esce dalla canna di una pistola. Chi ha l’occhio esperto avverte che l’avvio è stato straordinario: pieno di rabbia, ma deciso e coordinato. La corsa si sviluppa magnificamente; la progressione è eccezionale. Dai 100 ai 150 Mennea ha una marcia in più rispetto agli avversari, in particolare a Dunecki che si batte da campione. Solo negli ultimi metri Pietro si indurisce leggermente, ma ormai è fatta. Non si crede quasi al responso del cronometro: 19.72! Tommie Smith, il grande Tommie Smith, dopo 11 anni è cancellato da un atleta italiano, un velocista che ha costruito i suoi successi con un impegno e una volontà straordinari, seguito da un tecnico, Carlo Vittori, che conferma con risultati alla mano di conoscere come pochi il suo mestiere.

Gioisce Nebiolo e con lui Vittori, Rossi, Giovannelli, Coiana, il bravo e indispensabile Roccheti, tutti coloro che subito gli accorrono accanto per festeggiarlo. E’ il giorno più bello per Pietro che con questa impresa sale davvero nell’olimpo nella velocità, accanto agli Owens, ai Berruti, agli Smith, ai Borzov. Mennea, però, siamo sicuri pensa già al 1980, a Mosca. Sa bene che questo primato diverrà imbattibile se saprà accompagnarlo con la medaglia d’oro. Allora la sua carriera avrebbe davvero pochi riscontri nella storia della velocità.

L’arrivo dell’oro olimpico di Mosca 1980, dopo un fantastico recupero